IN UN’EUROPA VECCHIA E TRISTE
Quindi
sapevo di non essere che una piccola fioritura
del Nulla un’effimera protuberanza
del vuoto
una giornata più lunga di un secolo
di un eone agitato come una cavalcata
dei tempi.
Sono nato tardi in un’Europa vecchia e triste
truccata come un’attrice nel suo ultimo ballo.
Sono nato tardi
destinato a leggere parola dopo parola il libro degli eventi
nell’aria sacerdotale delle mie mattine.
Era tardi.
Con una pietra come lo sguardo tagliente della morte
Caino uccise già Abele
L’arca di Noè aveva trovato già la fine
sul Monte Ararat
con grande rumore Sodoma e Gomorra
erano già crollate
e l’implosione del fiore dei peccati persisteva ancora
sui corridoi del mondo.
Gesù aveva già scritto sulla sabbia la misteriosa indecifrabile parola
e la divise nei quattro angoli attraverso
il migliaio di venti.
Don Chisciotte aveva già sconfitto i mulini a vento
dell’Europa
e Amleto moriva ovviamente
annunciando gli amanti dei breaking news
che ce sempre qualcosa di marcio in Danimarca.
Inni vedici – dolci lamenti dell’essere che incoraggia
le illusioni – erano trasportati con il risciò
a casa dei traduttori di München e Manchester.
Con una vittoria senz’armi
Beethoven aveva scritto la Nona Sinfonia – L’inno alla gioa.
Infine, Robinson Crusoe aveva già lasciato
l’isola selvaggia
i greci mettevano a prova la stanchezza degli dei
Raskolnikov aveva appena nascosto l’ascia macchiata
del sangue del crimine
da qualche parte in Kilimanjaro
il fucile di Hemingwai aveva speso l’ultimo proiettile
e dopo cent’anni di solitudine
l’amico Marquez declamava la sua dichiarazione d’addio.
Sono nato in un’Europa vecchia e triste.
Era tardi.
Invano cercavo di dare un senso all’invano.
I miei sogni erano un Eden adornato con stupore.
Ogni giorno incrostavo qualcosa sul pizzo di una tempesta.
FINSTRE CIECHE
Sempre dentro di me ritarderà un verso amaro.
Attraverso cieco e sordo
l’autunno dei sospiri spettrali
sulle stesse strade battute da schiavi e
e imperatori.
Molti diranno:
Guarda Daniel Corbu
il poeta maledetto che scrive sull’essere
universo su sconosciute glorie e storie
dell’essere interiore
sulle agonie stanche cittadelle e altre sciocchezze
metafisiche ed è il nemico mortale
della poesia rosa!
Eccolo, quello derubato di angeli e notti
quello che porterebbe nel verso l’ologramma della rovina!
Si dice che ammirerebbe quelli pieni di grazia
il rombo della divina crociata
che porterebbe in ogni ferita un prete
dal sardanapalo discorso.
Ma io sono il passante burbero
sulle stesse strade lungo le stesse vanità
sono quello che cancella con cura
le finestre cieche della perfezione.
SEMPRE DENTRO DI ME RITARDERÀ UN VERSO AMARO.
LO SCIAMANO
“questo mondo senza gloria
che si oppone al grande Nulla”
Faust di Goethe
Da un po tutti vogliono che indovini loro il futuro
ma dimenticano sempre
che nel futuro si nasconde pure la morte.
Su di me cosa posso dirvi
quando avete già scoperto che sono
il testimone cieco
che lode il labirintico sentiero
del fallimento
SONO LO SCIAMANO ASCETA CHE METTE IN VENDITA
TUTTE LE NOTTI BIANCHE
E QUELLO CHE POSA QUADRI SERENI
NEI GIARDINI DELLA PAURA
Ogni giorno l’incarnazione del nulla si lamenta alla mia porta
ogni giorno accarezzo un paffuto passato
sovrappeso e apatico
e come nessun altro riconosco
la prostrazione e le scale della pazienza
i momenti intorpiditi nel rammarico
l’aria tremula nel mezzo della preghiera.
TUTTI VOGLIONO CHE INDOVINI LORO IL FUTURO
MA DIMENTICANO SEMPRE
CHE NEL FUTURO SI NASCONDE PURE LA MORTE.
Sono quello che posa quadri sereni
nei giardini della paura
Sfinge in movimento sui sentieri del secolo
sempre più piegato passo sulle strade
come i vecchi monaci portatori dell’urna dei peccati.
Non ho idea perché i fanatici asceti
mi ricordano con affetto.
L’ANGELO DELLA STANCHEZZA
È il grigiore dell’esistenza, Max!
O forse un vuoto che si allunga
come una tigna muta
da qui fino al paese da nessuno
conosciuto.
È l’angelo della stanchezza o forse
la noia depositata come la ruggine sugli scudi
come la dimenticanza sui bordi del pensiero.
È il grigiore dell’esistenza, Max!
Alla fine non hai scelta:
Scendi. Sali. Scendi ancora. Lasci dietro
un mare di scorie.
È il grigiore dell’esistenza, Max!
I topi del tempo rosicchiano senza mai fermarsi.
La libertà che ce fuori è piena di muri.
Verso la sera
attraverso la grandezza dell’anima
senti il deserto muggire invano.
ATTRAVERSO LA CRUNA DELL’AGO CON AFFETTO
IL CAMMELLO PASSAVA
Signore, non agitare l’acqua del pozzo
in cui mi rispecchiavo anni di fila!
Perché né le graffe né lo stresso del nulla
dei cavatappi notturni
né la luna dimenticata fino al tardi
nel bicchiere
nemmeno la vanità che svende le metropoli del mondo
(che paragonata al miracolo delle nozze di Cana
sembra un lamento)
non la disturba.
È l’ora astrale da dove
arrivano segnali dalla capitale di una maledizione.
Si può prendere un atomo da un instante
di genialità un grido del pensiero uscito
dalla canonica fila.
Tra incomprese confessioni vedo l’angelo
e l’aspetto copulativo del verbo
dell’essere.
Chi se ne frega del mio giacere nelle vanità
come un’icona dimenticata sui prati.
Ogni notte
sogno delle carovane nel deserto.
Non voglio stupire.
Questa è proprio
LA FINE.
Traduzione di Viorel BOLDIŞ