POEME ROMÂNEŞTI ÎN LIMBI STRĂINE: Daniel CORBU

 

IN UN’EUROPA VECCHIA E TRISTE

Quindi

sapevo di non essere che una piccola fioritura

del Nulla un’effimera protuberanza

del vuoto

una giornata più lunga di un secolo

di un eone agitato come una cavalcata

dei tempi.

Sono nato tardi in un’Europa vecchia e triste

truccata come un’attrice nel suo ultimo ballo.

Sono nato tardi

destinato a leggere parola dopo parola il libro degli eventi

nell’aria sacerdotale delle mie mattine.

Era tardi.

Con una pietra come lo sguardo tagliente della morte

Caino uccise già Abele

L’arca di Noè aveva trovato già la fine

sul Monte Ararat

con grande rumore Sodoma e Gomorra

erano già crollate

e l’implosione del fiore dei peccati persisteva ancora

sui corridoi del mondo.

Gesù aveva già scritto sulla sabbia la misteriosa indecifrabile parola

e la divise nei quattro angoli attraverso

il migliaio di venti.

Don Chisciotte aveva già sconfitto i mulini a vento

dell’Europa

e Amleto moriva ovviamente

annunciando gli amanti dei breaking news

che ce sempre qualcosa di marcio in Danimarca.

Inni vedici – dolci lamenti dell’essere che incoraggia

le illusioni – erano trasportati con il risciò

a casa dei traduttori di München e Manchester.

Con una vittoria senz’armi

Beethoven aveva scritto la Nona Sinfonia – L’inno alla gioa.

Infine, Robinson Crusoe aveva già lasciato

l’isola selvaggia

i greci mettevano a prova la stanchezza degli dei

Raskolnikov aveva appena nascosto l’ascia macchiata

del sangue del crimine

da qualche parte in Kilimanjaro

il fucile di Hemingwai aveva speso l’ultimo proiettile

e dopo cent’anni di solitudine

l’amico Marquez declamava la sua dichiarazione d’addio.

Sono nato in un’Europa vecchia e triste.

Era tardi.

Invano cercavo di dare un senso all’invano.

I miei sogni erano un Eden adornato con stupore.

Ogni giorno incrostavo qualcosa sul pizzo di una tempesta.

 

FINSTRE CIECHE

Sempre dentro di me ritarderà un verso amaro.

Attraverso cieco e sordo

l’autunno dei sospiri spettrali

sulle stesse strade battute da schiavi e

e imperatori.

Molti diranno:

Guarda Daniel Corbu

il poeta maledetto che scrive sull’essere

universo su sconosciute glorie e storie

dell’essere interiore

sulle agonie stanche cittadelle e altre sciocchezze

metafisiche ed è il nemico mortale

della poesia rosa!

Eccolo, quello derubato di angeli e notti

quello che porterebbe nel verso l’ologramma della rovina!

Si dice che ammirerebbe quelli pieni di grazia

il rombo della divina crociata

che porterebbe in ogni ferita un prete

dal sardanapalo discorso.

Ma io sono il passante burbero

sulle stesse strade lungo le stesse vanità

sono quello che cancella con cura

le finestre cieche della perfezione.

SEMPRE DENTRO DI ME RITARDERÀ UN VERSO AMARO.

 

LO SCIAMANO

“questo mondo senza gloria

                                                          che si oppone al grande Nulla”

Faust di Goethe

Da un po tutti vogliono che indovini loro il futuro

ma dimenticano sempre

che nel futuro si nasconde pure la morte.

Su di me cosa posso dirvi

quando avete già scoperto che sono

il testimone cieco

che lode il labirintico sentiero

del fallimento

SONO LO SCIAMANO ASCETA CHE METTE IN VENDITA

TUTTE LE NOTTI BIANCHE

E QUELLO CHE POSA QUADRI SERENI

NEI GIARDINI DELLA PAURA

Ogni giorno l’incarnazione del nulla si lamenta alla mia porta

ogni giorno accarezzo un paffuto passato

sovrappeso e apatico

e come nessun altro riconosco

la prostrazione e le scale della pazienza

i momenti intorpiditi nel rammarico

l’aria tremula nel mezzo della preghiera.

TUTTI VOGLIONO CHE INDOVINI LORO IL FUTURO

MA DIMENTICANO SEMPRE

CHE NEL FUTURO SI NASCONDE PURE LA MORTE.

Sono quello che posa quadri sereni

nei giardini della paura

Sfinge in movimento sui sentieri del secolo

sempre più piegato passo sulle strade

come i vecchi monaci portatori dell’urna dei peccati.

Non ho idea perché i fanatici asceti

mi ricordano con affetto.

 

L’ANGELO DELLA STANCHEZZA

È il grigiore dell’esistenza, Max!

O forse un vuoto che si allunga

come una tigna muta

da qui fino al paese da nessuno

conosciuto.

È l’angelo della stanchezza o forse

la noia depositata come la ruggine sugli scudi

come la dimenticanza sui bordi del pensiero.

 

È il grigiore dell’esistenza, Max!

Alla fine non hai scelta:

Scendi. Sali. Scendi ancora. Lasci dietro

un mare di scorie.

 

È il grigiore dell’esistenza, Max!

I topi del tempo rosicchiano senza mai fermarsi.

La libertà che ce fuori è piena di muri.

Verso la sera

attraverso la grandezza dell’anima

senti il deserto muggire invano.

 

ATTRAVERSO LA CRUNA DELL’AGO CON AFFETTO

IL CAMMELLO PASSAVA

Signore, non agitare l’acqua del pozzo

in cui mi rispecchiavo anni di fila!

Perché né le graffe né lo stresso del nulla

dei cavatappi notturni

né la luna dimenticata fino al tardi

nel bicchiere

nemmeno la vanità che svende le metropoli del mondo

(che paragonata al miracolo delle nozze di Cana

sembra un lamento)

non la disturba.

È l’ora astrale da dove

arrivano segnali dalla capitale di una maledizione.

Si può prendere un atomo da un instante

di genialità un grido del pensiero uscito

dalla canonica fila.

Tra incomprese confessioni vedo l’angelo

e l’aspetto copulativo del verbo

dell’essere.

Chi se ne frega del mio giacere nelle vanità

come un’icona dimenticata sui prati.

Ogni notte

sogno delle carovane nel deserto.

Non voglio stupire.

Questa è proprio

LA FINE.

 

Traduzione di Viorel BOLDIŞ